La copertina dell

Carlo Colombo

l'uomo e la fede

Pubblicato su Tracce, ott. 1985, pp. 29-30

Introduzione

La seguente introduzione all'inserto in cui si trovava questo contributo era fatta dalla redazione di Tracce e riguardava, oltre a Carlo Colombo, anche altri due maestri della Scuola di Venegono

Questo inserto sui «maestri» che hanno contribuito con la loro opera teologica ad alcune idee costitutive dell’esperienza di Comunione e Liberazione, non è dedicato a una sola figura, come fu nel caso di Von Balthasar, Guardini e De Lubac, ma ad una scuola, o meglio ad alcuni rappresentanti significativi di quella che si è soliti chiamare la «scuola di Venegono». Venegono è la sede del Seminario della diocesi di Milano, inaugurato solennemente cinquanta anni fa, il 12 maggio 1935, ma già in funzione dal 1930. Nelle sue aule sono passate varie generazioni di sacerdoti ambrosiani e l'insegnamento in esso fornito, soprattutto nei primi decenni, periodo di cui si occupa il presente studio, può essere considerato come un tutto unitario. Tuttavia l'analisi di questo insegnamento organico richiederebbe uno studio e un approfondimento sulle fonti che deve ancora essere fatto. Per tale ragione qui si presentano solo alcune figure particolarmente significative: Giovanni Colombo, prima insegnante di letteratura italiana, poi rettore del Seminario fino alla sua nomina ad arcivescovo di Milano (1963). Carlo Colombo, docente di Teologia dogmatica, direttore della rivista del Seminario «La scuola cattolica» e vescovo ausiliare di Milano dal 1964; Gaetano Corti, anch'egli professore di diverse discipline teologiche. Un breve cenno viene anche dato alla figura di Carlo Figini, morto nel 1967 e riconosciuto maestro degli studi teologici di Venegono. Di queste figure e del loro polivalente pensiero, i profili che pubblichiamo non danno un quadro esauriente, ma mettono in evidenza gli aspetti più chiaramente rintracciabili nell'impostazione teologica e metodologica di Cl. Essi sono, per Giovanni Colombo, l'attenzione al fenomeno letterario e al suo uso catechetico; per Carlo Colombo, il ruolo del pensiero teologico e la compresenza nell'atto di fede di ragione, volontà e adesione affettiva; per Gaetano Corti la sottolineatura del cristianesimo come avvenimento. Gli autori di questi profili sono gli stessi del primo numero dell'Annuario teologico dell'Istituto di Studi per la Transizione, edito lo scorso mese di giugno, e dedicato appunto in gran parte alla «scuola di Venegono», cui rimandiamo per ulteriori approfondimenti.

Che cosa è la fede cristiana?

Questa domanda solleva teologicamente il problema dell'atto di fede. Carlo Colombo si trova di fronte il tipo di soluzione sostanzialmente prevalso nei secoli moderni, e fondata sull'interpretazione «neotomistica» del pensiero di Tommaso d'Aquino (dal XIV secolo in poi, l'Aquinate fu considerato da Roma il più sicuro e ortodosso pensatore cristiano). Secondo i neotomisti nell'atto di fede la funzione principale viene svolta dalla ragione. Alla ragione infatti spetta indagare sui cosiddetti «motivi di credibilità» del cristianesimo: anzitutto col dimostrare l'esistenza di un Dio creatore, buono e onnipotente, che non potrebbe quindi abbandonare l'uomo a se stesso; dimostrando poi che a questo Dio è possibile essersi rivelato come la fede cristiana insegna; e mostrando infine come gli indizi storicamente reperibili depongono tutti a favore dell'autenticità di quanto la fede insegna. Si vede che si tratta non tanto di una ragione esistenzialmente considerata nella sua concreta immersione in una situazione umana, quanto della ragione filosofica, speculativa. Non che, ovviamente, quei teologi riducessero la fede al semplice corretto uso della ragione filosofica; soltanto, essi accentuavano molto la funzione di questa, a discapito di altri due fattori che, secondo la tradizione cattolica, entrano in gioco nell'atto di fede: la libera volontà e la Grazia. Sono proprio questi due fattori che Carlo Colombo, sulle orme di Pierre Rousselot, teologo francese, grande studioso di san Tommaso e dell'atto di fede, e di altri, intende rivalutare. Con Rousselot, Carlo Colombo osserva che la spiegazione corrente presso i neotomisti, quando pure fosse esatta, varrebbe soltanto per pochi; pochi intellettuali, infatti, hanno il tempo e le capacità di compiere quel complesso itinerario razionale che sarebbe previo alla fede. La fede invece è e deve essere accessibile a chiunque. Dunque la ragione deve compenetrarsi con la volontà e accettare l'aiuto della Grazia: alla volontà spetta orientare «simpateticamente» la ragione concreta a riconoscere, da una molteplicità di indizi, l'unico Oggetto della fede: è grazie a questo orientamento sintetico e simpatetico che la ragione arriva alla percezione unitaria del significato di quei tanti indizi (che potremmo definire umanità nuova). Si giunge in tal modo non a una certezza matematica, o a una certezza astratta, ma ad una certezza morale. Ma proprio perciò è necessario riconoscere anche un altro fattore, la Grazia.

L'Oggetto della fede, infatti, deborda dai limiti della ragione; e la stessa volontà, se lasciata a se stessa, amando più se stessa che la verità, non agevolerebbe, anzi ostacolerebbe il cammino della ragione: «Perché non vengano alla luce le sue opere malvagie». L'uomo dunque viene aiutato dalla Grazia fin dal suo primo volgersi alla ricerca della fede. È la Grazia, infatti, che lo induce ad amare quella Vivente verità che sarà poi riconosciuta nell'atto di fede. Nel concreto dinamismo del credere, quindi, tutto l'uomo, intelligenza e affettività, viene coinvolto; al tempo stesso viene sostenuto nel cammino verso la fede e nella fede dalla Grazia, che lo illumina interiormente e lo attrae, esteriormente, in una realtà desiderabile e affascinante.

Il metodo della teologia

La teologia non è un esercizio «a tavolino», un puro lavoro «scientifico» applicato al dato rivelato come la ricerca di un biologo si applica su un vetrino al microscopio: non può essere teologo chi non crede personalmente, chi non ama Colui che è «oggetto» della teologia: il Mistero di Dio rivelatosi in Cristo. La teologia come sistema è legittima ed autentica solo in quanto sviluppo della fede (e la fede, come abbiamo visto, non è in un insieme di asserzioni cui si previene al termine di una indagine razionale; è fede in una Persona, Cristo, con cui tutto l'uomo, intelletto e volontà, è coinvolto). Tanto più sarà feconda, ricca e credibile una teologia, quanto più viva e amorosa sarà la fede del teologo. La specializzazione, l'uso degli strumenti «scientifici» (filosofia, scienze umane, filologia, storia, etc.), l'acume intellettuale, non vengono perciò sottovalutati, ma posti al servizio della fede. Da notare che la posizione di Carlo Colombo era tanto più significativa in quanto molto forte era la concezione di una teologia puramente «scientifica», astratta e specialistica, freddamente oggettiva. Per Carlo Colombo, invece, la teologia deve suscitare il desiderio dell'esperienza cristiana, presentando la realtà cristiana non solo nella sua verità, ma anche nella sua bellezza, nella sua amabilità.

Ma la fede personale che deve animare ogni vero teologo ha un paragone oggettivo: l'insegnamento della Chiesa. Una sola è la fede cattolica, la fede di Pietro e degli Apostoli; e di essa sono custodi e garanti proprio il successore di Pietro, il Papa, e quelli degli Apostoli, i vescovi, uniti con lui. La teologia, che è sviluppo della fede, dovrà perciò rivolgersi a chi della fede è il primo depositario ed interprete, il Magistero ecclesiale: «I Vescovi e il Romano Pontefice sono costituiti maestri e dottori per i problemi di interpretazione e applicazione del Vangelo» (Il compito della teologia, Jaca Book, p. 102). In un certo senso la fedeltà al Magistero viene prima della stessa Bibbia: nel senso che il Magistero precede ed offre il criterio dello stesso studio esegetico della Bibbia. Per la concezione cattolica infatti la Parola di Dio nella Scrittura non raggiunge il singolo per individuale illuminazione interiore, ma veicolata dalla tradizione della Chiesa. Il razionalismo laicista con cui Colombo si trovò a polemizzare sosteneva invece che la teologia, per essere veramente «scientifica» e poter quindi aver diritto di cittadinanza nella cultura e nelle Università, non poteva sottomettersi a un fattore extrascientifico come è il Magistero. Ma ancor oggi, comunque, la fondamentale importanza del Magistero nella elaborazione della teologia, è pienamente pertinente.

Un'altra tesi molto importante in Carlo Colombo è quella della storicità della teologia. Per il cristianesimo la storia non è un assoluto, non ha sempre ragione, come sostengono per esempio Hegel e Marx; Dio trascende e domina la successione della storia, e la Verità rivelata in Cristo non è soggetta a trasformarsi in essa. Tuttavia può, nella storia, crescere la nostra comprensione del fatto cristiano. Può, abbiamo detto: non si tratta di un processo inevitabile, né irreversibile. E a crescere non è la Verità, ma la nostra intelligenza teologica di essa; non si tratta quindi, spiega Carlo Colombo, di aggiungere nuove verità al Dato rivelato, ma di esplicitare ciò che in quello è implicito. Si spiega così come possano essere formulati nuovi dogmi, e come la teologia possa registrare una certa evoluzione pur nella fedeltà al nucleo centrale di verità di fede. Qui, ancora, una certa critica era rivolta verso quelle forme di neotomismo per le quali la teologia sarebbe stata «sistematizzata» una volta per tutte nella sintesi di san Tommaso, dopo di che non sarebbero più potute sopraggiungere che integrazioni accidentali e irrilevanti.

La teologia, per Colombo, deve essere chiaramente cristocentrica, e ciò in un duplice senso: soggettivamente, in quanto il lavoro teologico è in qualche modo un cercare di avvicinarsi alla coscienza che Cristo aveva di sé e di tutto; è una partecipazione, in virtù dell'appartenenza al suo Corpo mistico, del suo modo di vedere le cose. Oggettivamente, in quanto Cristo è il centro della teologia, «ciò di cui», per così dire, essa deve anzitutto e fondamentalmente occuparsi.