La cultura cattolica in Italia nel'900

"Non vedo una cultura cattolica in Italia". Questo lapidario e inequivocabile giudizio e stato espresso una decina d'anni fa, poco prima della sua morte, da Paolo Grassi, già sovrintendente del Teatro alla Scala e poi presidente della Rai.

Ma anche Croce molti anni prima stupiva gli studiosi per la totale noncuranza che dimostrava nel suoi scritti nei riguardi della cultura cattolica.

Gramsci non è stato da meno, dichiarandola inesistente e affermando che in questo secolo non vi sono stati emuli del Manzoni, ma solo nipotini del P. Bresciani (un romanziere dell"800 con scopi edificanti e devozionali); e nei "Quaderni del Carcere" aggiungeva che "il cattolicesimo è sterile per l'arte".

Anche I. Montanelli recentemente, con il solito sarcasmo, ha giudicato la cultura cattolica "la cultura delle mummie... ".

Se questi giudizi severi appartengono al mondo laicista, v'è da dire che anche alcuni esponenti del mondo cattolico non sono stati molto più teneri, fra questi Gaspare Barbiellini-Amidei, C. Bo, V. Branca ed altri.

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Dobbiamo porci prima di tutto una domanda iniziale: è possibile una cultura cattolica, e se sì, esiste una cultura cattolica e quale ruolo ha svolto in Italia in questo secolo?

Per rispondere bisogna preliminarmente chiarire che cosa si intende con la parola "cultura".

Per alcuni studiosi essa comprende non solo le idee, ma anche le abitudini, i costumi, i processi tecnici, che un gruppo esprime e tramanda. .Per T. Mann addirittura l'oracolo, la pederastia, il cannibalismo, i culti orgiastici, il ballo di San Vito.

Altri, e più propriamente e convincentemente, intendono per cultura il segno che l'uomo con la sua intelligenza, la sua libertà e la sua attività imprime alla natura e alla storia, "umanizzandole" e quindi determinando una elevazione e una promozione dell'uomo stesso.

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Questa seconda concezione ci fa capire che la cultura implica una visione dell'uomo e del mondo e. conseguentemente, una serie di comportamenti personali e sociali volti a realizzare taluni valori in cui si crede.

Quindi cultura è sì costume e istituzioni, ma soprattutto è filosofia, morale, arte: è insomma umanesimo.

In questo senso una cultura cattolica (ma sarebbe meglio dire "cristiana"), deve comprendere una visione dell'uomo, del mondo e della storia ispirata dalla rivelazione e, conseguentemente, uno sforzo di tradurre nella realtà storica questa visione allo scopo di provocare una promozione integrale dell'uomo.

Ma e possibile una cultura cristiana (o cattolica)?

Il cristianesimo, lo sappiamo, non è una cultura: la cultura è sempre un fatto storico, un fatto umano, frutto dell'intelligenza e della capacità trasformatrice dell'uomo.

II cristianesimo, invece, soprattutto come rivelazione, è parola e grazia che ci vengono da Dio tramite Gesù Cristo per mezzo del quale Dio entra nella storia dell'uomo per assumerla ed elevarla a sé; è un appello di Dio che esige una risposta da parte dell'uomo.

Il cristianesimo ha anche un aspetto storico, perché Dio si è rivelato nella storia, ma esso trascende la storia, perché Dio nella persona di Cristo si è rivelato in maniera assoluta, non condizionato dalla storia, si è rivelato per tutti i luoghi e per tutti i tempi.

Quindi il cristianesimo non può esaurirsi in una cultura o in una civiltà, né una cultura o una civiltà possono pretendere di esprimere m maniera definitiva tutta la infinita ricchezza del cristianesimo.

Conseguentemente non esiste una cultura cristiana unica e valida per tutti i tempi e per tutti i luoghi; possono però esserci diverse culture cristiane.

Il cristianesimo però necessariamente si deve esprimere nelle vane culture, perché se esso è una chiamata di Dio all'uomo, l'uomo può dare una risposta a Dio solo nel contesto culturale in cui vive. traducendo cioè questa risposta in un fatto di esperienza e di vita vissuta.

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Questa risposta si chiama fede, e l'atto di fede e espressione di un uomo che porta sempre i segni del tempo in cui e calato.

Il cristianesimo poi e una religione che ha come dogma principale quello dell'incarnazione: la Parola di Dio, il Verbo, si e reso incontrabile dagli uomini in una particolare situazione storica e in una particolare cultura che, per Gesù, e quella ebraica del tempo di Augusto e di Tiberio.

Assodato il fatto che una cultura cristiana non solo è possibile, ma è necessaria, si tratta ora di vedere se esiste una cultura cattolica in Italia in questo secolo e che ruolo essa ha svolto.

Intanto bisogna preliminarmente sgombrare il terreno dall'eccessivo pessimismo circa l'inesistenza, o quanto meno la debolezza e la fragilità. della cultura cattolica nel nostro Paese.

Certo essa non annovera tra le sue file molti personaggi di statura europea, né la maggior parte dei suoi esponenti si distinguono per l'altezza dei loro voli.

Bisogna però pure dire che anche nel campo laico, fatta eccezione per due o tre figure di grande significato internazionale, non è che si riscontrano esponenti di interesse sovranazionale in questi anni.

Tuttavia il cattolicesimo in Italia per tutto il secolo ha permeato lo spirito della nostra società più che negli altri paesi europei e la sua presenza è viva e incontrabile ancora oggi nelle Università, nella letteratura, nel giornalismo, nell'editoria: magari senza fare chiasso, ma anche senza falsi pudori.

E' sicuramente la presenza di una minoranza, ma di una minoranza che respira e che si affida, finalmente più alla forza delle proprie idee che non a quella di un partito politico.

Certo l'organizzazione culturale dei cattolici in Italia è scarsa e poco evidente. ma non bisogna confondere la cultura con la "politica culturale" o, che è lo stesso, l'organizzazione culturale.

Il mondo laico, anzi quello più specificamente marxista, ha avuto dalla sua parte la forte direttiva impartita da Granisci secondo la quale la conquista del potere in un Paese a capitalismo avanzato comporta, preliminarmente, la conquista di una egemonia culturale. Infatti non è con la forza, afferma Granisci, che si può conquistare il potere, bensì con il consenso, ottenuto con la superiorità culturale.

Questo spiega perché dalla fine della ultima guerra il PCI ha avuto come obiettivo primario quello di impossessarsi degli strumenti della diffusione della cultura: la scuola prima di tutto, specialmente quella universitaria, e poi la radio, la televisione, il teatro, il cinema, le case editrici, le riviste, ecc., creando un perfetto sistema culturale.

Bisogna comunque aggiungere che se è stato poderoso lo sforzo compiuto dal partito comunista, i risultati che si sono avuti non sono stati eclatanti o comunque pari all'impegno profuso. Infatti a differenza di quanto è avvenuto Oltralpe (Roger Garaudy in Francia, Emest Blocca in Germania), non si sono avute in Italia grosse elaborazioni culturali o personaggi che nel campo del marxismo hanno compiuto significative costruzioni filosofiche).

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All'inizio del secolo il clima culturale in Italia nell'ambito del cattolicesimo non era certo cosi vivace come, per es., a Parigi. Il mondo cattolico in seguito alla grande rottura verificatasi tra la Chiesa e lo Stato con il sorgere della Questione Romana giaceva in una condizione di netta inferiorità e le forze cattoliche più vive erano concentrate intorno al grossi problemi politici e sociali del tempo.

Ma se nessun ingegno era paragonabile a quello di Alfred Loisy o a quello di Maurice Blondel, Le Roy, Laberthonnier, tuttavia non mancavano in Italia giovani brillanti che si interessavano dei nuovi problemi culturali provenienti da oltre le Alpi e che poi approfondivano pubblicando riviste o libri.

Fra questi spicca il nome di Ernesto Buonaiuti al quale si legò indissolubilmente il movimento noto a tutti e chiamato Modernista. Ma anche altri gravarono nell'ambito di questo orientamento filosofico-religioso, in misura più o meno rilevante, come Antonio Fogazzaro, Tommaso Gallarati-Scotti, Giovanni Papini ecc.

Il modernismo fu la prima grossa ribellione alla struttura rigidamente gerarchica della Chiesa, ma risentì anche del contraccolpo del conflitto tra scienza e fede, particolarmente vivo in quel tempo.

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Nato tra la fine del 19' e l'inizio del 20' secolo in seno al cristianesimo occidentale (forse in Irlanda), e muovendosi in un clima immanentistico-idealistico, sosteneva che con nessuna conoscenza razionale e con nessun metodo, ne filosofico, ne scientifico, ne storico si può cogliere il divino.

Adottando il cosiddetto "metodo dell'immanenza", Il Modernismo vorrebbe giungere ad ammettere l'esistenza di Dio solo perché essa trova un riscontro nei bisogni dell'uomo e nelle esigenze del nostro spirito.

Le conclusioni di tale posizione sono evidenti: il soggettivismo religioso, l'agnosticismo, la negazione del soprannaturale (il soggettivismo religioso è vicino alle posizione dell'attualismo gentiliano secondo il quale l'assoluto lo gnosticismo è la dottrina secondo la quale la ragione umana è ristretta interamente nei limiti dei fenomeni naturali).

Questo metodo dell'immanenza (che, come abbiamo detto, afferma che Dio esiste perché l'uomo ne sente il bisogno), ha il suo pieno valore se usato come conferma delle prove razionali e del dono della fede per giungere a Dio, ma non può essere adottato in sostituzione di quelle.

Per il Modernismo poi anche i dogmi noli sono verità assolute, ma formule corrispondenti a un determinato momento storico,, mutevoli quindi con l'evolversi delle consuetudini mentali.

Nel 1907 giunse opportuna la condanna da parte di Pio X con l'enciclica Pascendi con cui si censurava questa riduzione del cristianesimo al sentimento naturale, sintesi, come fu detto, di tutte le eresie.

Il dibattito culturale che ne seguì fu ampio, il fermento di idee notevole e cenacoli modernisti sorsero un po' dovunque.

Il mondo laico, con una certa spocchia, sottovalutò questo fenomeno culturale. Croce e Gentile lo considerarono niente più che un fenomeno intellettuale di retroguardia. Ma trascuravano il fatto che il romanzo Il Santo di Antonio Fogazzaro (edito nel 1905 e messo all'indice l'anno dopo), fu un avvenimento letterario che si collocava nell'alveo di questo movimento della cultura cattolica di questo secolo.

Con la condanna del modernismo calò nelle diocesi un regime di sospetti e di paure che, se estirparono l'errore, contribuirono anche a mortificare e ad avvilire la vitalità religiosa del cattolicesimo nel nostro Paese e i cui effetti si sono avvertiti a lungo.

A ciò si aggiunge che l'intransigentismo (era l'atteggiamento di quel cattolici che rivendicavano il ritorno del potere temporale dei papi e proclamavano l'astensione dei cattolici dalla vita pubblica) aveva creato una specie di "ghettizzazione" del mondo cattolico. isolandolo dalla realtà culturale circostante. Tale isolamento rinchiudeva la cultura cattolica in se stessa, tagliando i ponti con la "modenità" la quale, se rappresentava, un pericolo, costituiva anche uno stimolo a crescere e a irrobustirsi.

E questo mentre in Francia il "sentire" cattolico esprimeva, oltre a quelli citati, personaggi come Bernanos, Mauriac, Peguy, Maritain, Mounier ecc.

Bisogna però dire che l'intelligenza di un popolo, e quindi la sua cultura, non si misurano dal numero degli intellettuali di spicco. Il cattolicesimo italiano possiede una dimensione collettiva la cui cultura non e fuori, ma dentro quel mondo, ,esso è un fenomeno comunitario

Seguì un periodo di elaborazione interiore che produsse nel 1918 un evento fondamentale nella storia della cultura cristiana italiana: la fondazione a Milano dell'Università Cattolica del S. Cuore, ad opera di Agostino Gemelli. In essa si raccolsero e si sintetizzarono quei fermenti culturali maturati nel due decenni precedenti.

Questo organismo ridava alla cultura cattolica robustezza e rigore di metodo, inserendola in un circuito accademico di idee e di indagini.

Il suo programma era quello di formare i quadri dirigenti da inserire nei diversi gangli della vita pubblica per restituire alla società, con un programma alternativo. l'anima cattolica che era andata perduta

P. Agostino Gemelli fu uno dei maggiori restauratori in Italia della filosofia del "realismo", sulla solida base dell'indirizzo di Aristotele e di S. Tommaso, questi ormai dimenticato nei secoli postcartesiani.

E' questa la corrente neoscolastica che, sulla scia dell'enciclica, di Leone XIII' Aeterni Patris, del 1879, ridesta in tutta l'Europa un ricco movimento di studi intorno al pensiero di S. Tommaso.

Si tratta non già di una riesumazione dell'antica scolastica, ma di un tomismo impegnato nel problemi culturali, sociali e politici del tempo.

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Gemelli fu in Italia l'anima di questi studi che ebbero un loro preciso profilo: la rivisitazione della storia della filosofia, specialmente moderna, e l'approfondimento del problema critico.

Agostino Gemelli non era un filosofo, era un medico che si dedicò poi alla psicologia. Credeva però nel valore della cultura ed era un geniale organizzatore.

Nel 1919 fondò la "Rivista di filosofia neoscolastica" proponendosi di dialogare e di discutere con l'idealismo neohegeliano che allora dominava in Italia.

Raccolse intorno a sé, nell'Ateneo, una schiera di studiosi e di docenti di primissimo piano e di grande valore: Emilio Ciocchetti che conosceva l'idealismo e lo criticò, pur accogliendo tutto ciò che gli sembrasse vero, Francesco Olgiati, profondo conoscitore della filosofia moderna nella quale vide, (come un "fi1 rouge" che l'attraversa), una concezione idealistica che partiva da Cartesio, Amato Masnovo, grande esperto della filosofia medioevale e di S. Tommaso in particolare, Gustavo Bontadini che ha approfondito la filosofia dell`"essere", partendo da Gentile e risalendo a Kant e a Cartesio, MARIO CASOTTI, straordinario conoscitore di problemi pedagogici e poi gli studiosi della nuova generazione alcuni dei quali deceduti in questi ultimi. anni: Cornelio Fabro e Sofia Vanni Rovighi.

Tutti costoro, che hanno creato a volte vere e proprie scuole, hanno avuto -una schiera di discenti,, a loro volta docenti nella vane Università italiane dove hanno continuato e continuano a percorrere le vie del pensiero e della fede dei loro maestri.

Se la filosofia in Italia oggi non è tutta in mano laica o marxista lo si deve all'impegno e alla tenacia di questi uomini.

Nel 1919, viene fondato a Roma da Luigi Sturzo il Partito popolare italiano che, fra l'altro, si proponeva il programma del decentramento amministrativo e delle autonomie locali, che non era soltanto una proposta tecnica,, ma nasceva dalla consapevolezza che l'Italia si componeva di realtà regionali, per cui, contro lo statalismo invadente, il decentramento mirava a una più profonda unità civile del popolo.

Sturzo fu non solo un uomo politico geniale, ma anche un uomo di cultura. di rara perspicacia, del tutto anomalo in una Italia in cui il trasformismo sembra essere prassi consueta. La sua grande intuizione politica e culturale fu quella di assumere i principi cristiani come motivo e ragione di vita civile.

Alla fine degli anni venti i cattolici riescono ad esprimere un movimento culturale degno di attenzione, formatosi intorno alla rivista Il Frontespizio (1929-40), di Papini, Bargellini, De Luca, Betocchi, Soffici ecc.

Costoro fecero un discorso nuovo e innovatore attraverso una riflessione religiosa lontana - come fu detto - e dall'incenso delle sacrestie e dalle astrattezze accademiche, perché lo scopo non era apologetico, ossia quello di conquistare anime, ma di riaccostare i cattolici alla cultura del loro tempo, affinché si confrontassero con i problemi intellettuali moderni, mostrando cosi che la fede può convivere con la cultura.

Vi era però nella Rivista, totalmente indipendente dall'ufficialità ecclesiastica, uno scopo meno sbandierato, ma evidente: gettare un ponte tra la cultura laica e quella cattolica, in maniera che la religiosità fosse un elemento di unione e non di polemica.

Fra gli scrittori, spesso modestamente nascosto dietro pseudonimi, un ricordo particolare merita la grande figura di Giuseppe De Luca, un prete romano, timido e schivo, straordinariamente colto e immensamente religioso, con amicizie profonde negli ambienti più disparati, da Bottai a Togliatti, da De Gasperi a Prezzolini.

Il Croce, che disprezzava gli studiosi cattolici, aggiudicava a De Luca la patente di vero storico per l'impegno, l'avvedutezza e la serietà filosofica.

Giovanni Papini fu la figura più eminente di questo periodo. Sicuramente il più noto degli scrittori cattolici italiani nella I° metà del secolo. Mircea Eliade lo definisce l'uomo più curioso, più universale, più diversivo del secolo. Intellettuale enciclopedico, lettore infaticabile, smanioso di una sapere totale, perennemente in cerca di verità e di certezze, divenne ben presto il fiore all'occhiello della cultura cattolica.

La funzione che egli si assunse, dopo la conversione, fu quella di stimolare, pungolare, provocare i cattolici affinché accettassero ogni genere di sfida e avessero il coraggio di essere se stessi. Una funzione provvidenziale se si pensa allo stato di semiclandestinità in cui giaceva la cultura cattolica nel periodo fascista.

Egli contribuì a creare quel profondo "sentire cattolico" che è il vero grande assente nella cultura dei cattolici italiani.

Partito da un ateismo radicale e da una "piena e cosciente paganità contro le vigliaccherie del secolare pecorinismo nazareno". Papini non poteva prevedere che stava per intraprendere un cammino del tutto diverso.

Passa attraverso le più varie esperienze filosofiche: pragmatismo. futurismo, mchilismo, nell'Uomo finito " una delle sue opere più significative scriveva. "Per me non c'è nulla. Non credo più in nulla. Sono il nichilista perfetto, l'ateo compiuto, definitivo, intero. L'ateo che non si inginocchia neppure alle fedì laiche. So che la fine del tutto è il nulla, la ricompensa di ogni opera sarà alla fine dei secoli nulla e poi nulla

.

Ma, paradossalmente, già in quest'opera si avvertiva la ricerca, la disponibilità al dono e alla gratuità pura della fede.

Come dice Pietro Prini "Nella filosofia cattolica (e non solo cattolica) del Novecento, quella di Papini, a dispetto di tutto l'accademismo, è stata la prima forma genuina di quel pensare autobiografico che è il segno di ogni filosofia dell'esistenza ".

Il secondo dopoguerra è caratterizzato dalla preponderanza del problema politico su ogni altro problema. La guerra fredda, la rigida contrapposizione del blocchi, i processi e le incarcerazioni di tanti vescovi nell'Est europeo determinò la mobilitazione degli uomini e delle organizzazioni intorno al partito dei cattolici e ciò finì, inevitabilmente per coinvolgere anche la cultura.

Si determinò una mitizzazione della politica da parte di tutti i partiti, soprattutto della sinistra (tutto è politica ... ), mettendo in ombra altri e non meno importanti campi di attività, ritardando la riflessione sul "civile" e sulla società in genere nella quale avanzava, purtroppo in maniera irresistibile, il processo di secolarizzazione.

Riferendosi a questi anni Baget-Bozzo ha parlato di "fine della cristianità", cioè della fine di un periodo storico in cui i valori cristiani erano la norma, non solo dei rapporti individuali, ma anche dei rapporti pubblici e delle istituzioni.

E' interessante a questo riguardo fermarsi un momento su quanto scrive sempre Baget-Bozzo sulla fine del partito cattolico che, come è noto, non esiste più ed è improbabile che possa rinascere.

Il noto politologo sostiene che allorquando nella Democrazia cristiana è prevalsa la prassi (diciamo per intenderci la politica spicciola) sul legame con la Chiesa, ovvero sui principi cristiani che l'ispiravano e che erano anche il suo supporto culturale, il partito, abbandonato a se stesso, è stato assorbito nello spirito del tempo e, di conseguenza, nella degenerazione clientelare del potere.

E' il periodo in cui i valori morali vanno perdendo ogni rilevanza pubblica e sono confinati nella sfera del privato. Si afferma in compenso una libertà totale e indiscriminata. La ricerca del benessere e la corsa verso i consumi si trasformano da mezzi in fine.

Si va affermando insomma una mentalità secolare all'interno della quale non è più necessario negare Dio, perché, se anche egli sopravvive, rimane qualcosa di lontano e di inefficace.

Pasolini per descrivere questo trapasso ricorse alla metafora delle lucciole. Dalle nostre campagne sono scomparse le lucciole, ma con esse sono scomparse molte altre cose: le tonache dei preti, le processioni del Corpus Domini, le recite del rosario, i fioretti di maggio, i seminaristi disciplinati a passeggio in duplice fila, il catechismo dei fanciulli la domenica pomeriggio...

Ma se la sparizione di alcune cose del passato non è un propriamente un male, è un male invece il fatto che l'Italia in questo periodo si va allineando ai modi di vita dei paesi occidentali: si divorzia, si abortisce, si pianificano le nascite, ci si sposa civilmente. Nel giro di pochi anni l'Italia si trasforma da un Paese "religioso" in un Paese "civile"...

Finito il partito dei cattolici, noli e però finita la cultura cattolica, essa anzi può meglio sopravvivere, e di fatto vive, perché,, per i valori che essa esprime, non esige una struttura di potere.

Flaminio Piccoli in una intervista a Roberto Gervaso qualche anno fa,, ha confessato: Ma colpa più imperdonabile che abbiamo commesso in quarant'anni di governo, è di aver trascurato il mondo della cultura, specie cristiano ".

Solo che dì fronte a questa situazione completamente nuova, la cultura cattolica si trovava a dover fronteggiare una realtà totalmente imprevista e sconosciuta, di qui il suo smarrimento e il suo sconcerto.

Si spiegano cosi i ritardi della teologia italiana nella fase preconciliare il cui contributo fu nullo. Si spiega altresì la debolezza dei cattolici nel cinema,, nel romanzo, nella critica letteraria,, salvo poche eccezioni.

La situazione migliorò dopo il Concilio con le prese di posizione di fronte al grande problema dei rapporti Chiesa-Mondo-, purtroppo molte energie si dispersero in polemiche interne, specie intorno al tema del dissenso.

Vi furono giornali che tennero desto il dibattito, come il quotidiano Avvenire, ma il suo contributo non fu determinante.

Avvenne però che, con il regredire del partito politico dei cattolici. si apriva sempre più lo spazio per una cultura cattolica libera da tatticisini e impegnata, m un approfondimento severo, rigoroso di ciò che significa essere cattolici in una società all'indomani della dissoluzione dei modelli tradizionali.

Di qui la fondazione di nuovi gruppi cattolici (Focolarinì,, Coinuinone e Liberazione, neocatecumenali ecc), che, facendo leva solo su se stessi, coniugano il discorso spirituale con quello culturale, servendosi anche di nuove e coraggiose strutture editoriali che allargano il circuito delle idee e della cultura (Città Nuova per i Focolarini, che pubblica l'opera omnia di S. Agostino-, Jaca Book per CL, che pubblica le opere di von Balthasar).

Si affiancano ad esse altre case editrici nuove o rinnovate, come la Morcelliana (1925), di Brescia, espressione del migliore cattolicesimo democratico italiano, la Cittadella,, di Assisi che è la casa del dialogo per antonomasia, e nel cui catalogo compaiono molti preti del dissenso, Coines, editrice d'avanguardia, nata nel 1971, luogo di incontro del cattolicesimo di sinistra, con l'intento di laicità e di anti-integrismo.

Altre case si rinnovano e si aggiornano aprendo le finestre all'ondata di rinnovamento. A Torino, per es. Gribaudi (1966), e poi Marietti che, in attività da oltre 150 anni, sempre sulla linea del più schietto cattolicesimo, combattono a fondo la battaglia del Concilio. Inoltre la SEI, le Edizioni Paoline con il settimanale Famiglia cristiana, che risulta essere il settimanale più diffuso e più letto in Italia. Studium, sorta nel 1927 per offrire agli universitari cattolici uno spazio di vita durante la dittatura fascista. La

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Scuola di Brescia,, che ha rischiato di essere annientata durante la repubblica di Salò per la sua fiera adesione alle direttive della Chiesa.

1 Salesiano hanno creato due nuove editrici: la LDC e la Libreria Ateneo Salesiano. Vita e Pensiero e invece l'editrice della Università Cattolica ed esPI71Ine la più alta specializzazione nel campo filosofico.

Non mancano riviste vecchie e nuove che si aggiornano e Si rinnovano: sono decine e il citarle sarebbe noioso.

Sarebbe altrettanto lungo l'elenco degli scrittori cattolici e dei libri da essi editi che hanno avuto grande successo editoriale. Solo per fare qualche nome: Vittorio Messori,, con il suo libro, Ipotesi su Gesù, che è il best-seller di questi ultimi dieci anni, o il Dio che viene, di Carlo Carretto che ha toccato le 150 mila copie,

Anche nel campo della poesia e della narrativa sarebbe doveroso fare delle opportune menzioni e solo per citare qualcuno ricordiamo i poeti Clemente Rebora e D. M. Turoldo, i drammaturghi Giovanni Testori e Diego Fabbri, gli scrittori Mario Pornilio, Alighiero Chiusano, Ferruccio Ulivi e tanti altri.

Molti gli intellettuali impegnati in un serio confronto con la cultura moderna. Basti citare Del Noce e poi De Rosa, Scoppola., Morra ecc.

Il dibattito interno si mantenne vivace e a volte aspro. Agguerrita fu la schiera dei cosiddetti progressisti: La Valle, Girardi, P. Balducci e altri che, con un repentino passaggio dalla fede alla politica, manifestarono sfiducia nella fede e una fiducia illimitata nella politica, alimentando così la convinzione che la politica fosse l'unico ambito in cui si realizza la speranza religiosa.

In tal modo la fede rischiava di dissolversi e la politica di assolutizzarsi.

Questo fervore di iniziative e di intraprendenza e le migliaia di opere pubblicate, alcune di pregevole valore (molte sono traduzioni dall'estero, ma altre creative), hanno portato i cataloghi della editoria cattolica a competere con quelle laiche. Ciò è il frutto delle nuova linfa vitale che il Concilio, con le sue innovative conclusioni, ha immesso in tutto l'organismo cattolico, rivitalizzandolo e irrobustendolo e sottraendolo, almeno parzialmente, ad una avvilente sudditanza alla cultura cattolica d'oltralpe.

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H giudizio sulla cultura cattolica di questo periodo e sull'attività degli intellettuali cattolici fino ai giorni nostri non e pero unanime. Gianfranco Morra, una delle più lucide intelligenze del mondo cattolico, in un libro dal titolo La cultura cattolica e il nichilismo contemporaneo, ha espresso pareri severi, anche se spesso con alcune forzature, sul questa cultura. Ma anche altri studiosi e perfino laici, come Pietro Citati, sono sulla stessa lunghezza d'onda.

Morra premette che l'Italia attraversa, al pari degli altri Paesi industrializzati,, un processo di secolarizzazione radicale, che espelle sempre più i valori religiosi dalle sfere della vita individuale e sociale.

Lamenta però che gli sforzi della Chiesa, iniziati a partire dal Concilio, di aprirsi alle istanze del mondo non hanno sortito gli effetti desiderati perché il mondo ha risposto con una espulsione diffusa dei parametri cristiani (dissoluzione della famiglia, divorzio, aborto, pornografia) e con esplosioni di anticlericalismo allorquando la Chiesa esprime la sua opinione su questioni morali e sociali.

Morra rimprovera alla cultura cattolica del dopo-Concilio di aver intesa l'apertura verso il mondo moderno come necessità di rifiutare il passato.

Pertanto il passato, invece di essere reso attuale attraverso un'opera di rinnovamento, è stato rifiutato e disprezzato, obbligando così il cristiano ad assumere i miti moderni e lo spirito del mondo.

Di conseguenza egli auspica il recupero della identità cristiana senza camuffamenti e mimetizzazioni e quindi senza il rigetto della tradizione.

Si potrebbe a questo punto domandare: ma qual è l'atteggiamento più significativo e più qualificante della cultura cattolica, italiana in questo secolo? Esiste un denominatore comune che lega gli intellettuali cattolici italiani nel '900?

La risposta è semplice, da tutti dichiarata e condivisa: si tratta del riconoscimento del valore della persona sui valori economici, dell'importanza assoluta della persona umana considerata il fine della vita associata, rigorosamente distinta da qualunque forma di individualismo ritenuto invece la negazione della persona. Questa è essenzialmente socialità ed è inserita nella vita comunitaria per il raggiungimento della sua pienezza.

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E' stato l'individualismo anzi a costruire nell'età l'ideologia borghese e capitalistica.

Questa dottrina (l'esaltazione della valore della persona)attraversa tutta la cultura cattolica del'900, e se come fenomeno storico. sotto il nome di Personalismo" nasce in Francia negli anni trenta intorno alla rivista Esprit, fondata da Emmanuel Mounier e in Italia e legata ad alcuni pensatori come Luigi Stefanini, Armando Carlini, Augusto Guzzo ed altri, essa è però la cifra di tutta la cultura cattolica di questo secolo.

Fino all'avvento del Cristianesimo non esisteva né in greco, né in latino una parola che esprimesse il concetto di persona.

Il pensiero classico (ma l'idealismo moderno è sulla stessa linea), riconosce valore soltanto all'universale, all'ideale, all'astratto, il singolo è soltanto un attimo transitorio della storia.

Il concetto di persona è una conquista del pensiero cristiano ed esso vi è giunto riflettendo sulla storia della salvezza.

Questa non è la storia della specie umana, del collettivo, dell'universale, ma e la storia di persone singole, concrete, particolari. E' la storia di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, di Davide e di ogni uomo, di ognuno di noi. in quanto insignito del titolo di figlio di Dio.

La persona presuppone ed esige la società comunitaria che non è quella di "massa" con la tirannia dell'anonimato-, non è quella "totalitaria,,_ con la tirannia del Capo carismatico-. non è nemmeno quella "contrattualistica" che è la somma degli egoismi individuali.

La persona - dice il Mounier è una presenza rivolta al mondo e agli altri: gli altri non la limitano, anzi le permettono di essere e di svilupparsi. La persona è presenza a se stessa con la riflessione-, è presenza agli altri con l'amicizia. e presenza a Dio con la preghiera.

di Mons. Franco Follo