Scienza e teologia a confronto

alle soglie del duemila

dal sito di p.Alberto Strumia. Pubblicato su Sacra Doctrina - monografie, 2, 100 (1997)

1. Una premessa sul rapporto scienza–teologia

Il rapido approssimarsi della scadenza storica dell’avvento del terzo millennio cristiano sta suscitando numerose riflessioni sul tema del destino dell’universo e, quindi congiuntamente, anche sulla sua origine. Spesso si tratta di riflessioni dal tenore escatologico, quando non addirittura apocalittico, volte a scoprire e a mettere in luce, insieme alle questioni riguardanti l’universo, quelle riguardanti l’uomo, che dell’universo è elemento intelligente e in certa misura responsabile. Domandarsi qual è il destino dell’universo equivale, in larga parte, a chiedersi qual è il destino dell’uomo e, analogamente, per quanto riguarda la domanda sull’origine.

E oggi, a chi si possono rivolgere queste domande fondamentali se non alla scienza e insieme ad essa alla teologia?

— Alla scienza in quanto detentrice del potere di conoscere e manipolare proprio della modernità;

— alla teologia come privilegiato interlocutore che da sempre detiene il primato dell’indagine sul Mistero.

Ma su quale base scienza e teologia possono e devono confrontarsi e collaborare? Il semplice confronto — più o meno antagonisticamente concepito — tra scienza e teologia, sui loro rispettivi e ben distinti terreni, sembra poter, oggi, essere superato verso una vera e propria collaborazione su un terreno di lavoro comune, atto ad offrire alcuni fondamenti metodologici alla scienza come alla teologia sistematica.

1.1. Il concordismo

Tra i diversi metodi del confronto tra la scienza e la teologia, che sono ora di superare perché inadeguati, un primo modo — quello più ingenuo che, pur essendo spesso criticato, ancora viene, di fatto, seguito come fosse del tutto corretto, sia da coloro che si schierano a favore della fede e della teologia che da quanti ne vogliono dimostrare l’inconsistenza — è quello del concordismo. Il concordismo può assumere diverse forme, più o meno sofisticate, ma nella sua sostanza consiste nel tentativo di stabilire delle corrispondenze tra le affermazioni di alcune teorie scientifiche e le affermazioni contenute nella rivelazione biblica,[1] o in altre tradizioni,[2] o anche, all’opposto, nelle tesi ateistiche.[3] È ormai classico l’accostamento–identificazione tra il big–bang della cosmologia scientifica e il fiat lux biblico, per citare solo un esempio. È certamente suggestivo, spontaneo, e in un certo senso può essere anche legittimo tentare degli accostamenti di questo tipo, ma non si può sostenere di averne dimostrato la correttezza, se non altro perché non disponiamo di una meta–scienza sul terreno della quale condurre una tale dimostrazione.

Purtroppo, oltre alle questioni di principio, si aggiungono spesso, anche ulteriori complicazioni dovute ad una inadeguata non conoscenza delle teorie scientifiche da parte di filosofi e teologi, da una parte, come ad un uso assolutamente erroneo della terminologia teologica da parte di taluni scienziati. Per fare solo un esempio si equivoca sul termine creazione intendendo, meccanicisticamente, la creazione come un semplice avvio della macchina dell’universo, pensando che se l’universo fosse ab aeterno non occorrerebbe alcuna creazione e quindi sarebbe inutile l’azione di un Dio. Inoltre si identifica spesso ciò che i fisici chiamo vuoto con ciò che filosofi e teologi chiamano nulla. Tutto ciò ha portato anche scienziati di fama internazionale a sostenere la tesi ridicola secondo cui se l’universo ha avuto origine da una fluttuazione quantistica del vuoto esso è venuto dal nulla e quindi non occorre un Creatore.[4]

Probabilmente solo quando saremo nello stato della visione ultraterrena la concordanza e l’integrazione tra le diverse forme di conoscenza sarà totale e perfettamente chiarita, perché le diverse forme di conoscenza saranno tutte vere e certe, mentre ora, molte delle nostre conoscenze, comprese quelle scientifiche, sono solamente ipotesi, anche se talvolta fortemente corroborate dal controllo sperimentale. In ogni caso, nel corso della storia, questo tentativo concordista, di fatto, non ha mai dato dei buoni risultati:

— anzitutto perché è quasi sempre viziato metodologicamente, in quanto è guidato troppo spesso da una pregiudiziale ideologica: quella di voler provare una tesi teista o ateista già assunta aprioristicamente,strumentalizzando in qualche modo sia la scienza che il contenuto della rivelazione;

— secondariamente perché sia le teorie scientifiche che i metodi dell’ermeneutica scritturistica, essendo ipotetici, evolvono, lasciando le tesi concordiste, quindi, sempre nella precarietà.

Sembra, dunque, necessario un terreno più rigoroso per un confronto, che non dia troppo spazio ai preconcetti, ma si fondi su di una razionalità dimostrativa. Pare, a questo proposito, di poter rinvenire, in alcune delle problematiche epistemologiche emergenti dalle ricerche scientifiche più recenti, alcune linee sulla base delle quali scienza, filosofia e teologia, più che cercare punti di accordo, possano e debbano collaborare alla costruzione diun’epistemologia, di una logica, e di un’assiomatica ampliate, che sia scienza che teologia possano utilizzare come base per le loro dimostrazioni.

— Per quanto riguarda il mondo della scienza, anzitutto muovendosi sul terreno del problema dei fondamenti delle sue teorie;

— per quanto riguarda il mondo della filosofia e della teologia, muovendosi alla ricerca di una rinnovata sistematicità, basata su metodi dimostrativi, per quanto possibile, oltre che descrittivi.

Una dilatazione della razionalità scientifica, dunque, che superi in certo modo lo schema univoco delle matematiche e delle scienze galileiane — senza ben inteso escludere queste ultime — aprendosi a quell’approccioanalogico che per un’autentica filosofia e una teologia sistematica è sempre stato fondamentale. Oggi questo modo di procedere sembra meno remoto di qualche decina di anni fa, soprattutto da parte di alcuni settori delle scienze che, mi pare, stiano rivedendo profondamente il loro modo di procedere, spinte da un’esigenza intrinseca di maturazione.

Ma riprenderemo questo argomento tra poco.

1.2. Il parallelismo

Abbiamo dunque accennato al concordismo come ad una delle piste, che potremmo definire insidiose, sulle quali troppo spesso si è avviato il confronto tra le scienze e la teologia.

Ora vorrei spendere una parola su una seconda via, che del concordismo non è che il rovescio della medaglia, e che è quella che istituisce un assoluto parallelismo tra scienza e teologia, considerate come due binari senza possibilità alcuna di incontro e quindi di accordo, o di conflitto. È la scelta, in apparenza, più comoda per evitare il ripetersi di spiacevoli incidenti che segnino ulteriormente la storia dopo la questione galileiana. Si afferma che le discipline hanno metodi diversi e tra loro incommensurabili, quindi le loro conclusioni non devono essere raffrontate. È giusta, a mio parere, l’affermazione di un’autonomia di metodo, ma non è forse eccessiva l’affermazione della totale incommensurabilità? Non si rischia di appoggiarsi alla dottrina della doppia verità e quindi di nessuna verità? La conseguenza è necessariamente la negazione di ogni valore conoscitivo sia alla conoscenza scientifica che a quella teologica, è lo strumentalismo[5] assoluto.

In questo caso il confronto è escluso a priori. Anche questo risulta essere un atteggiamento insufficiente e, alla fine, controproducente.

1.3. Un’epistemologia organica

Una breve nota storica che può essere utile, a questo punto, almeno per informazione, ma certamente non solo per informazione.

Nel quadro delle scienze pre–galileiane — delle quali alcune oggi non sono più considerate scienze, come la metafisica e la filosofia della natura, mentre altre lo sono tuttora come la logica e la matematica — il problema del rapporto fra le diverse discipline veniva chiarito fin dall’inizio, in quanto alcune di esse costituivano per altre, qualcosa di simile a quelle che noi oggi chiamiamo meta–scienze in quanto ad esse fornivano i fondamenti e almeno alcune regole di metodo.[6]

Oggi non è più così: le scienze galileiane e logico–matematiche non ricevono i fondamenti dalle discipline filosofiche e tantomeno teologiche. Tuttavia il problema dei fondamenti è rimasto ed è sempre più forte. La novità che oggi — quando dico oggi mi riferisco principalmente a questi ultimi trenta, quaranta anni di ricerca scientifica — appare con maggiore evidenza, sembra risiedere nel fatto che le stesse scienze logiche, matematiche, informatiche, fisiche e chimiche, per non parlare di quelle biologiche — e ancor più le scienze umane, — sembrano richiedere dei fondamenti più ampi, ma non per questo meno rigorosi, per poter affrontare i loro stessi oggetti, via via più complessi e strutturati. In particolare appare del tutto insufficiente quell’epistemologia riduzionistica che, nella linea delle scienze sperimentali, vuole la biologia ricondotta ultimamente alla chimica, la chimica alla fisica. Nella linea delle scienze formali già con la pubblicazione dei teoremi di Gödel[7] questa insufficienza era stata dimostrata in ordine al progetto di Russell e Whitehead di ridurre l’aritmetica alla logica.[8]

Forse proprio le ricerca dei fondamenti di teorie matematiche, fisico–chimiche e biologiche più ampie di quelle passate ci potrà portare verso una nuova epistemologia di tipo organico, per certi aspetti simile a quella antica, oltre il rigido schema riduzionistico, ma capace di ospitare le scienze più moderne e avanzate, dotate ciascuna di un suo propium irriducibile, ed insieme di ospitare una teologia scientifica che procede, secondo regole proprie, ma dimostrativamente. Sembra allora che anche il confronto tra le scienze, la filosofia e la teologia potrà avvalersi di tale epistemologia e di tali scienze ampliate.

Il problema principale, allora, non appare più essere tanto quello della conquista di un predominio delle scienze sulla teologia, o viceversa, né quello della difesa del proprio terreno, quanto quello dell’identificazione di un terreno comune sul quale costruire insieme una meta–scienza comune, fondante sia per le scienze che per la teologia.